Il linguaggio digitale e il lavoro da remoto: cosa imparare, come fare
Se ricordate, in un mio precedente intervento, ho spiegato che anche in questo momento di emergenza, non è aumento il numero degli smart worker: abbiamo solo creato, nella migliore delle ipotesi, un universo di home worker. Potremmo anche chiamarli “telelavoratori”, se non fosse che anche il telelavoro, così come lo smart working, ha delle regole e delle peculiarità che difficilmente si riscontrano nella situazione attuale.
La situazione che descrivo trova riscontro in quello che vedo succedere da un punto di vista privilegiato. Ci occupiamo da anni, oltre che di tecnologia e di organizzazione, anche di fornire ai nostri clienti un supporto in caso di difficoltà e problemi. Ebbene, anche con meno persone al lavoro, il numero di chiamate di supporto è aumentato. Semplicemente è cambiata la tipologia dei problemi da affrontare. Sono aumentate a dismisura le chiamate di chi si è trovato solo a casa ad utilizzare strumenti nuovi o ad usarli in una modalità che non conosceva e soprattutto utilizzando infrastrutture aziendali non pensate per questo scopo.
Quando parlavo, sempre nel mio intervento precedente, di un grande numero di persone che a casa si stava “arrabattando”, intendevo proprio questo.
Cosa c’entra allora il mio inglese con l’home worker italiano? Per spiegarlo, riprendo la frase che uso per descrivere me stesso all’interno del mondo digitale: “sono nato analogico, ma ho cominciato a frequentare il mondo digitale presto e ne ho appreso la lingua”. Il digitale è un mondo che ha una sua lingua che va appresa.
Occupandomi di tecnologia, una certa conoscenza dell’inglese è obbligatoria. Ormai non esistono più documentazioni tecniche in italiano che non siano obsolete, spesso la formazione e l’aggiornamento viene fatto in inglese e sempre più spesso si va all’estero per incontrare partner nuovi o si partecipa a call (accidenti, una parola inglese) con specialisti stranieri. Quale che sia la parte del mondo da cui vengono è l’inglese la lingua da usare.
E il mio inglese? Come per molti di noi, l’inglese imparato nel percorso scolastico normale andava bene per cominciare a leggere i primi manuali che mi sono passati per le mani. Ma all’epoca bastava. Poi piano piano è cresciuta l’esigenza anche di capire chi parlava e magari poter intervenire. E qui, classicamente, sono cominciati dei corsi più meno standard d’inglese, compresi anche dei brevi “full immersion” (altre parole inglesi anche qui). Alla fine del corso il livello ovviamente cresceva. Riesco ad esprimermi e capisco tutto ciò che mi serve per la mia attività, sul resto rimane qualche ovvio problema quando si esce dall’ambito professionale o quando l’interlocutore non fa nulla per farsi capire.
Cosa ho capito? Mi sono accorto, cosa che è ovvia, che quando mi serviva l’inglese in giro per il mondo, visto che non lo uso quotidianamente, cominciavo con qualche giorno di imbarazzo o difficoltà, per poi finire, di solito quando era il momento di tornare in Italia, ad essere abbastanza sciolto. Ma a quel punto magari devo tornare in Italia e al prossimo giro si ricomincia da capo.
Il linguaggio digitale è come una lingua straniera: prima va imparata, poi va utilizzata con un minimo di frequenza. Altrimenti non funziona. Se poi, dopo aver imparato la lingua digitale, non la uso mai, la dimentico. Come il latino, l’ho studiato a scuola e tutto sommato era anche una delle materie in cui andavo “meno peggio”, ma adesso non ricordo più nulla.
Chiudiamo allora il ragionamento. La lingua digitale è qualcosa che va innanzitutto insegnata, ma che deve essere costantemente allenata. La lingua digitale non è l’addestramento all’utilizzo del software aziendale. Spesso dimentichiamo che un “nativo analogico” non ha mai incontrato, nel suo percorso di formazione, un momento in cui questa lingua gli sia stata insegnata. Se vogliamo avere degli home worker efficienti, non basta fare un corso una volta, sempre che lo si sia fatto per davvero. Anche l’ambiente di lavoro e le modalità di lavoro devono cercare costantemente di allenare la “modalità home” che con l’aggiunta di un’organizzazione diversa possono poi portare al vero smart working (o lavoro agile, che è la pessima definizione che gira su documenti ufficiali).
I nativi digitali sono avvantaggiati in questo mondo? Per quanto riguarda la lingua certamente sì, però parlano come dei rapper, usano uno slang compressibile solo a loro e neppure a tutti. Se io imparassi l’inglese da un rapper del Bronx, parlerei poi con altri rapper di altre zone. Nel lavoro e nel business non si parla così. Ma magari di questo ne parliamo un’altra volta.