Home worker: il lavoro al tempo del coronavirus

Lavorare da casa ha regole precise che vanno seguite per essere efficaci

L’emergenza coronavirus sta cambiando il nostro modo di lavorare. Per chi può farlo, per chi era attrezzato a farlo, lo smart work è una soluzione efficace. Ci sono molte statistiche (ma ormai ci sono statistiche su tutto e il contrario di tutto!) che danno i numeri di quanti e come stanno lavorando da casa. Se dovessi commentare questi dati direi che mi lasciano molto perplesso. Fare smart working significa essersi attrezzati sia da un punto di vista tecnologico che organizzativo. Significa lavorare per obiettivi, significa… tante cose. Delle quali forse parlerò nel prossimo articolo.

Oggi voglio parlare d’altro. Ma è qualcosa che ha a che fare con il lavoro smart. Come ho già raccontato tempo fa, io sono nato analogico, ma ho cominciato presto a frequentare il mondo digitale, e anche se in questo mondo sono un “immigrato” ho imparato piuttosto bene la lingua: come un magrebino che fa il muratore per un’impresa bergamasca, conosco anche un po’ il dialetto.

Ero già smartworker per scelta. La mia azienda da tempo ha adottato dei modelli di lavoro, supportati da tecnologie che consentono di svolgere la propria attività da remoto. Il mio ruolo mi impone di essere operativo ovunque fosse necessario.

Per me però è comunque cambiato molto. Da smartworker sono dovuto diventare “home worker”. E a questo non ero abituato. Non avevo mai lavorato da casa prima d’ora. Erano anni che non accendevo il pc dell’ufficio tra le mura domestiche. Da tempo, anche per ragioni di sicurezza informatica, non mischio strumenti di lavoro con quelli casalinghi (smartphone e tablet). Non rispondo mai a mail di lavoro la sera, semplicemente perché non le vedo.
E si può, ve lo assicuro, in moltissime situazioni. É il modello organizzativo aziendale che deve essere in grado di rispondere ai clienti e alle altre urgenze. Solo così, a turno, si può staccare e non essere condizionati dal digitale.

Torniamo all’inaspettato ruolo di “home worker” a cui l’emergenza mi ha relegato. Ovviamente, lavorando in un’azienda orientata al lavoro in mobilità, non ci sono stati problemi tecnologici e organizzativi, né da parte mia né da parte dei colleghi.

I “casini”, se così vogliamo chiamarli, sono nati sul modo migliore di organizzare il lavoro e la vita domestica, preservando la libertà che mi ero conquistato nel tempo.
Io ho fatto così; ci sono arrivato un po’ alla volta e può darsi che col protrarsi dell’emergenza, qualcosa verrà modificato.

Decalogo dell’home worker (il mio)

  1. È fondamentale, soprattutto se non si vive soli, poter disporre di uno spazio separato dal resto della casa per le attività lavorative: non avendo mai lavorato da casa non avevo uno studio attrezzato. Risolto. Camera del figlio che abita all’estero con piccolo scrittoio. Se sei già smartworker non ti servono grandi scrivanie, non hai carta con te e gli strumenti digitali che usi hanno già tutto.
  2. La mattina sveglia un pochino dopo perché non c’è il viaggio da fare. Qualche minuto di attività fisica in soggiorno o dove sì può. Io avevo l’abitudine di andare la mattina presto in palestra o a correre 2 o 3 volte la settimana e se smetto diventa un problema ricominciare.
  3. Ci si veste come se si dovesse andare in ufficio: non necessariamente “eleganti”. Io non sono quasi mai elegante in ufficio, ma se di solito mi metto la camicia lo faccio. Per chi lo adotta in azienda direi un “casual day” quotidiano. Si torna abbigliamento casalingo quando si chiude l’attività lavorativa. Importante marcare la differenza tra “modalità lavoro” e “modalità casa”.
  4. Organizzazione della giornata rigorosa, attenzione, non rigida. Un po’ per disciplina, un po’ perché la più difficile interazione coi collaboratori che sono tutti a distanza non deve impedire loro di lavorare con tranquillità, interrotti troppo spesso da chiamate dei colleghi.
  5. Call coi colleghi e anche i pochi altri clienti o partner che sono attrezzati adeguatamente, sempre in video. È vero, si consuma un po’ di banda internet in più, ma la relazione umana ne guadagna.
  6. Ogni tanto una call di gruppo con tutti i collaboratori più vicini, sempre in video ovviamente, per vedere come stanno e fare 10 minuti di chiacchiere del più e del meno. Tentiamo di tenere i contatti della “macchinetta del caffè”.
  7. Una pausa verso metà mattina per il caffè e un’altra il pomeriggio. All’ora di pranzo si pranza, non si lavora. Se hai pianificato la giornata, è difficile che ti capiti qualcosa di inaspettato che te lo impedisca.
  8. L’attività da remoto, se non improvvisata, consuma meno tempo che l’attività in ufficio. Non ci sono spostamenti. Allora usiamo il tempo avanzato per fare formazione e informazione. Chi è abituato agli strumenti di smartworking non ha alcuna difficoltà con l’e-learning.

Non so quanto queste regole possano essere utili ad altri: io mi ci trovo bene, per il momento. Applicando la regola 8 ho anche scoperto che un decalogo non è fatto necessariamente di 10 punti: ho evitato quindi di dovermi imporre qualche nuova regola per completarlo.